The Man in the Mirror
January 12, 1998
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The life of the creative man is lead, directed, and controlled by boredom. Avoiding boredom is one of our most important purposes.
-- Saul Steinberg
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The Man in the Mirror
Saul Steinberg
Original art
The New Yorker, January 12, 1998
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scritture sul ciglio del significato / luigi di cicco. 2024 [parte prima]
Luigi Di Cicco
Scritture sul ciglio del significato
(parte prima – dicembre 2024)
Gesti monumentali, orme sottili
1959: “Quando nell’immediato dopoguerra Capogrossi […] inventò quegli ‘ideogrammi asemantici’ noti oggi in tutto il mondo, forse non si rendeva conto d’aver creato uno dei primi ‘cifrari magici’ dei nostri tempi”. 1960: “Nei gesti monumentali di Kline, in quelli più dispersi e frenetici di Vedova, in quelli più composti ed ermetici di Hartung, vive l’estrema volontà di dar vita ad una nuova – o resuscitata? – scrittura asemantica”. 1961: “Le composizioni segniche d’un Tobey o d’un Mathieu avevano voluto dire la apertura di nuovi orizzonti di scritture asemantiche ignote all’arte occidentale”. Henri Michaux è autore di “curiose scritture filiformi e concitate – veri alfabeti asemantici”. 1962: Giuseppe Capogrossi ha “una sua scrittura, autonoma, unica nel suo genere, del tutto asemantica, eppure carica di sensi nascosti”. 1964: “Sanfilippo modula con grande finezza i suoi alfabeti asemantici”.
Dalla fine degli anni Cinquanta Gillo Dorfles impiega con insistenza l’espressione scrittura asemantica per indicare segni privi di significato, ma carichi di senso. Si tratta soprattutto di segni pittorici, di una scrittura da atelier. Le tele a volte sono enormi. I movimenti del braccio sono ampi, in alcuni casi tutto il corpo è coinvolto. Lo stile è dato “dalla grafia stessa degli artisti”.
Dorfles torna a utilizzare l’espressione nel 1974 in un saggio dal titolo Le “scritture asemantiche” di Irma Blank: “una sorta di grafia-ortografia, che si vale d’un segno ben individualizzato (con tutte le caratteristiche della personalità di chi lo usa), ma privo, vuoto, scevro, di ogni semanticità esplicita, giacché non è costituito da – né è scindibile in – ‘segni discreti’, in lettere d’un sia pur modificato alfabeto, né in ideogrammi sia pur alterati o neoformati”.
Le dimensioni sono quelle del libro, della lettera, dell’appunto. I fogli registrano piccole oscillazioni, “orme sottili”, scritture domestiche che entrano comodamente in cartelle, riviste, libri d’artista e scatole editoriali.
Le scritture asemantiche sono disancorate dal compito di dover comunicare, veicolare informazioni. Per Dorfles il loro proliferare tra gli anni Cinquanta e Settanta deriva dall’esigenza di porre un arresto all’ipertrofia di segni significanti, dalla necessità di una pausa, dall’urgenza di stabilire un intervallo al flusso ininterrotto di sollecitazioni sensoriali.
In origine l’horror vacui doveva aver spinto gli uomini a segnare le pareti vuote delle caverne, l’horror pleni, adesso, dovrebbe spingere verso la direzione opposta, verso un’interruzione, verso il recupero di un “fattore isolante, diastemizzante tra opera e spettatore, tra opera e opera”.
Per Dorfles “la pagina bianca, la scrittura asemantica, la stessa ‘forma primaria’ alla Sol LeWitt o alla Judd, sono, tutto sommato, le prove evidenti di un’aspirazione al vuoto, alla ricostruzione d’un intervallo. […] Non sarebbe illogico se un’eventuale rivoluzione asemantica facesse seguito a un periodo di eccessi semiologici”.
Una rivoluzione contro la sovrabbondanza di segni e di significati al fine di giungere a “una stagione dove esistano di nuovo ‘segni vergini’ da non catalogare, codici da non decriptare, pagine bianche da non decifrare”.
L’essenza della scrittura
Roland Barthes, cultore della scrizione, ossia del puro gesto manuale dello scrivere, in più di un’occasione si sofferma sulle scritture illeggibili, “scritture che non possiamo comprendere e delle quali non si può affermare che siano indecifrabili semplicemente perché si situano al di là di ogni possibile decrittazione”. In esse il significante è “libero, sovrano”.
Barthes stesso è autore di contre-écritures che traccia allo scopo di creare qualcosa al di fuori della “trappola del linguaggio”, della “responsabilità fatalmente legata a ogni frase”. Cinque esempi di contre-écritures sono ospitate nel secondo numero della rivista belga Luna-Park (1976), dedicato alle Graphies. Lo stesso numero riporta una sua lettera del 1971 indirizzata a Mirtha Dermisache: “avete saputo produrre un certo numero di forme, né figurative, né astratte, che potremmo classificare sotto il nome di scrittura illeggibile – il che equivale a offrire ai vostri lettori, non i messaggi e nemmeno le forme contingenti dell’espressione, ma l’idea, l’essenza della scrittura. Niente è più difficile che produrre un’essenza, vale a dire una forma che faccia riferimento esclusivamente al suo nome”.
A proposito di questa lettera, l’autrice argentina dichiarerà: “È stato incredibile, da quel momento ho capito cosa stavo facendo”. Per la prima volta, qualcuno chiamava il suo lavoro scrittura.
Barthes utilizza il termine lettori per riferirsi ai fruitori delle pagine di Dermisache. Lo fa nuovamente poco tempo dopo in un articolo su Cy Twombly, specificando: “dico: lettore, anche se non c’è nulla da decifrare”. Nelle stesse pagine, Barthes torna sul concetto di essenza concentrandosi sul gesto: “A modo suo TW dice che l’essenza della scrittura non è né la forma né l’uso, ma solo il gesto, il gesto che la produce lasciandola trascinare: uno scarabocchio, quasi una sozzura, una negligenza”. Ancora, in un testo su Bernard Réquichot, parlando del suo “testamento illeggibile” Barthes scrive: “per ciò che concerne il suo essere, la scrittura lo trae non dal suo significato (dalla sua funzione comunicativa) bensì dalla rabbia, dalla tenerezza o dal rigore in cui sono tracciate le gambe e le curve”.
Il punto nodale è nella liberazione del segno “tristemente appesantito dal suo significato”, nell’illeggibilità che “lungi dall’essere lo stadio difettivo, o mostruoso, del sistema scrittorio, ne sarebbe al contrario la verità propria”.
Sul ciglio del significato
Alfred Lewin Copley, fisiologo ed ematologo, è stato autore di preziose scritture realizzate con lo pseudonimo di Alcopley. Nel 1954, presentando i suoi lavori, il critico d’arte Michel Seuphor scrive: “a differenza della scrittura pratica, che impone un dovere, la scrittura astratta […] è svincolata, il suo contenuto è universale”. Nel 1958, sulla scorta di queste considerazioni, il critico Lawrence Alloway aggiunge: “la nostra aspettativa di significato è stimolata ma non soddisfatta. I segni si librano sul ciglio del significato”.
Come in un’allegoria vuota di Kafka, la scrittura astratta allude in modo persistente a un qualcosa che non c’è. L’illusione di riuscire a mettere a fuoco il significato è ininterrottamente frustrata.
Siamo lettori avidi e instancabili. Nelle scritture astratte il significante si emancipa dal giogo del significato; il nostro occhio, tuttavia, continua ad esserne asservito.
Altalena a bilico
Un paradosso: svuotate, alleggerite dal dover significare qualcosa, le scritture asemiche dovrebbero rappresentare la quintessenza della scrittura, eppure rinviano perennemente al disegno. I fruitori – lettori/osservatori – oscillano tra i due poli di un’altalena a bilico. La scrittura è subito individuata, ma essendone impossibile la comprensione si cerca appagamento altrove: nell’osservazione, nel disegno.
Marco Giovenale, che ha coniato il termine drawriting per i propri lavori, appunta: “È l’incerto il territorio dell’asemico, proprio in quanto si fonda su o parte da uno stato di flickering multiplo tra (1) grafia che punta a una lingua, (2) lingua che però non esiste, (3) grafia che torna allora a sé in aspetto di disegno (astratto), (4) disegno che si nega come tale perché (appunto) in origine punta a una lingua, chiudendo così il cerchio”.
Michael Betancourt, nel presentare l’opera di Giovenale, analizza bene l’esitare “sulla soglia del riconoscimento e della lessicalità prima di dissolversi in un’illeggibilità puramente grafica”. Un approdo che è soltanto provvisorio. Le sirene della scrittura sono lì: reclamano centralità, promettono contenuti.
Nel suo saggio su Saul Steinberg, Barthes commenta: “il significato diventa sia un desiderio folle (vogliamo decifrare a tutti i costi), sia un inganno persistente (non c’è nulla da decifrare: si sa, ma ci si ostina)”.
Desiderio folle e inganno persistente sono il motore di un meccanismo perpetuo. La combinazione è instabile, l’altalena continua a oscillare senza sosta:
scrittura/disegno
scrittura\disegno
scrittura/disegno
scrittura\disegno
…
…
Un silenzio prolisso
Una particolare serie lavori asemantici di Henri Michaux viene chiamata dall’autore Movimenti. Michaux ne parla come di “una scrittura inaspettata” dove ci si può esprimere finalmente “lontano dalle parole”. I Movimenti si caratterizzano per la loro singolare somiglianza con un elemento piuttosto diffuso in natura: il lichene Graphis scripta, detto anche lichene della scrittura segreta.
Quest’organismo simbionte ispira il poeta tedesco Hans Magnus Enzensberger: “il lichene si descrive, / si inscrive, scrive / in una scrittura cifrata / un silenzio prolisso: / Graphis scripta”.
Invero, nel Graphis scripta non c’è nulla di segreto e nulla da decifrare. Un lichene asemico per eccellenza: non nasconde codici, non ne ha e non ne vuole.
Il piacere del vuoto
Scrive John Cage: “La sintassi, secondo Norman O. Brown, è la disposizione dell’esercito. Quando ci allontaniamo da essa, smilitarizziamo il linguaggio”.
In Empty words, seduto al centro di un palco vuoto, Cage farfuglia incomprensibili lacerti di parole, intervallandoli con lunghi e profondi silenzi. La durata complessiva dell’opera è di circa dieci ore, anche se la divisione in quattro sezioni permette che le esecuzioni durino due ore e mezza. I borbottii non sono che frammenti smembrati di un testo, i Diari di Henry David Thoreau, da cui Cage salva metodicamente solo alcune lettere. Il pubblico è messo in crisi dall’ascolto del testo in frantumi. In Empty words la lingua è sabotata, Cage fa tabula rasa di ogni significato, rende incomprensibile il linguaggio per smilitarizzarlo.
Ma quando avviene la militarizzazione? Avviene da piccoli, tra i banchi di scuola. Per Michel de Certeau “imparare a scrivere è l’iniziazione per eccellenza a una società capitalista e conquistatrice. Si sono dovuti attendere gli effetti inquietanti di un così prodigioso sviluppo affinché cominciassimo a guardare con sospetto la formazione del fanciullo moderno attraverso la pratica scritturale”.
Il critico Giuseppe Garrera parte proprio dalle parole di Norman O. Brown e da una descrizione circostanziata di un’esecuzione di Empty words, al Teatro Lirico di Milano, per affermare che “il sistema scolastico è un sistema di imposizione e di dittatura del significato e delle regole”. Scopo delle istituzioni è rendere la scrittura codificata, conforme. Seduti in banchi allineati, gli studenti imparano a scrivere rispettando rigorosamente le righe dei quaderni. Il dettato, la dettatura. Il diktat, la dittatura.
Per Garrera le scritture asemantiche sono “bande anarchiche di demilitarizzazione del linguaggio”. Un atto profondo di diserzione, di disobbedienza, di opposizione alle convenzioni imposte. Roland Barthes scrive “non c’è attualmente al mondo un luogo istituzionale da cui il significato sia bandito” e sogna un mondo esentato dal significato, come lo si può essere dal servizio militare. Le scritture illeggibili incarnano appieno i desideri di Barthes.
Il 2 dicembre 1977 tra gli spettatori di Cage al Teatro Lirico di Milano è presente anche Roberto Calasso. Racconta l’esperienza in un articolo dal titolo John Cage o il piacere del Vuoto: “una delle malattie più gravi di cui soffriamo è quella del Pieno: la malattia di chi vive in un continuo mentale occupato da un vorticare di parole smozzicate, di immagini stolidamente ricorrenti, di inutili e infondate certezze, di timori formulati in sentenze prima che emozioni. Tutto questo produce molti disastri – ma soprattutto uno, da cui discendono gli altri: la mancanza, l’incapacità di attenzione”.
Pochi mesi prima, giugno 1977, Gillo Dorfles iniziava così un suo articolo: “Ricreare l’intervallo: la pausa, il momento vuoto in un mondo troppo pieno, troppo gremito, troppo affollato, dove l’eccesso di pienezza preclude la vista e la conoscenza dei singoli momenti, oggetti, eventi”. E ancora: “Malauguratamente solo pochissimi intendono questa necessità ‘fisiologica’ del vuoto e della pausa. La maggior parte degli uomini […] è ancora profondamente ancorata all’errore del pieno e non all’orrore dello stesso”. Nonostante tutto, il critico preconizzava un’inevitabile presa di coscienza collettiva: “ci troviamo […] all’alba di una Rivoluzione Asemantica”.
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Luigi Di Cicco, Scritture sul ciglio del significato
(parte prima – dicembre 2024)
NOTE
Gesti monumentali, orme sottili
Gillo Dorfles, “Giuseppe Capogrossi”, in VIII Quadriennale Nazionale d’Arte di Roma, cat., De Luca Editore, Roma, 1959
Gillo Dorfles, “Struttura, segno e figura alla XXX Biennale” in aut aut, nr. 59, Edizioni Kairos, Milano, 1960
Gillo Dorfles, Ultime tendenze nell’arte d’oggi, Feltrinelli Editore, Milano, 1961
Gillo Dorfles, L’alfabeto di Capogrossi (saggio introduttivo), All’Insegna del Pesce d’Oro, Vanni Scheiwiller, Milano, 1962
Gillo Dorfles, “Gli italiani alla XXXII Biennale”, in Art International, VIII/7, Lugano, 1964
Gillo Dorfles, Il divenire delle arti, Einaudi Editore, Torino, 1959
Gillo Dorfles, “Le ‘scritture asemantiche’ di Irma Blank” in Irma Blank, Galleria Cenobio-Visualità, Grafiche Alessandro Nava, Milano, 1974
Gillo Dorfles, L’intervallo perduto, Einaudi Editore, Torino, 1980
L’essenza della scrittura
Roland Barthes, Variazioni sulla scrittura, Einaudi Editore, Torino, 1999
Roland Barthes, “Le degree zero du coloriage”, in Les Nouvelles Littéraires, Larousse, Paris, march 1978
Marc Dachy (a cura di), Luna-Park 2 – Graphies, rivista, Transédition, Bruxelles, avril 1976
Cintia Mezza, Cecilia Iida y Ana Ravina, “Mirtha Dermisache, vida y obra 1940-2012”, in Mirtha Dermisache. Porque ¡yo escribo!, cat., MALBA e Fundación Espigas, Buenos Aires, 2017
Roland Barthes, “Cy Twombly o «Non multa sed multum»”, in L’ovvio e l’ottuso, Einaudi Editore, Torino, 1985
Roland Barthes, “Réquichot e il suo corpo”, in L’ovvio e l’ottuso, Einaudi Editore, Torino, 1985
Roland Barthes, Barthes di Roland Barthes, Einaudi Editore, Torino, 1980
Sul ciglio del significato
Michel Seuphor, écritures. Alcopley, Les Nourritures Terrestres, Paris, 1954
Lawrence Alloway, “Marks and signs” in ARK. The Journal of The Royal College of Art, nr 22, Royal College of Art, London, 1958
Altalena a bilico
Marco Giovenale, asemics. senso senza significato, Edizioni ikonaLíber, Francavilla al mare, 2023
Michael Betancourt, “Semiotic Degree Zero: Drawriting”, in Marco Giovenale, Glitchasemics, Post-Asemic Press, 2020
Roland Barthes, all except you, con illustrazioni di Saul Steinberg, Repères édition d’art, Paris, 1983
Un silenzio prolisso
Gillo Dorfles, Ultime tendenze nell’arte d’oggi, Feltrinelli Editore, Milano, 1961
Henri Michaux, Mouvements, Editions Gallimard, Paris, 1951
Hans Magnus Enzensberger, “Flechtenkunde” in blindenschrift, Suhrkamp Verlag, Frankfurt, 1964
Il piacere del vuoto
John Cage, M – writings 67-72, Wesleyan University Press, Middletown, 1973
Michel de Certeau, L’invenzione del quotidiano, Edizioni Lavoro, Roma, 2001
Giuseppe Garrera, audio presentazione volume asemics. senso senza significato di Marco Giovenale (ascoltabile in rete, sito: slowforward.net), Studio Campo Boario, Roma, 3 marzo 2023
Roland Barthes, La grana della voce. Interviste 1962-1980, Einaudi Editore, Torino, 1986
Roland Barthes, Barthes di Roland Barthes, Einaudi Editore, Torino, 1980
Roberto Calasso, “John Cage o il piacere del Vuoto”, in Panorama, rivista, 20 dicembre 1977
Gillo Dorfles, “Troppe immagini, troppi messaggi”, in Corriere della Sera, 20 giugno 1977
Saul Steinberg: Flying Harpies https://attemptedbloggery.blogspot.com/2024/12/saul-steinberg-flying-harpies.html #SaulSteinberg
Eames Fiberglass Armchair
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Cat and Bird
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Saul Steinberg
(Romanian/American Illustrator, 1914–1999)
"Christmas Card", 1949.
MoMA, The Museum of Modern Art
New York Taxis, 1977
Carol and Douglas Cohen Collection
© The Saul Steinberg Foundation / VEGAP, Madrid, 2024
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Ariadne (1966)
North Carolina Museum of Art
Saul Steinberg: The 1966 Sidney Janus Gallery Catalogue https://attemptedbloggery.blogspot.com/2024/11/saul-steinberg-1966-sidney-janus.html #SaulSteinberg
A study and the finished New Yorker cover
View of the World From 9th Avenue, 1976
Private collection
© The Saul Steinberg Foundation / VEGAP, Madrid, 2024
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Dealers
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